jueves, 27 de septiembre de 2012

SALLUSTI IN GALERA. LA LIBERTÀ NON C'ENTRA


C’è qualcosa d’imbarazzante nella vicenda di Alessandro Sallusti, il direttore de Il Giornale, proprietà di Silvio Berlusconi, ma in mano a suo fratello Paolo Berlusconi che gli fa da prestanome. La cosa imbarazzante non è che Sallusti rischi la galera, ma tutta la storia, che potrebbe sembrare solo uno strano paradosso italiano, uno dei tanti, ma è molto di più, e lo vedremo. Ma andiamo con i fatti.

Sallusti è stato condannato con sentenza definitiva della Cassazione, quindi dopo tre gradi di giudizio, per aver permesso sul giornale che dirigeva all’epoca dei fatti, cioè Libero (altro giornale della famiglia Berlusconi, piegato allegramente ai voleri di Re Silvio), la diffamazione del magistrato Cocilovo. Il magistrato aveva preso la decisione di far abortire una ragazza minorenne con problemi psichici, su richiesta della di lei madre adottiva. La soluzione finale ad una situazione tragica di per sé, è in realtà prevista dalla legge: in caso di contenzioso tra il titolare della potestà ed il figlio minorenne, e considerate tutte le condizioni, decide la giustizia, in un verso o in un altro. Fortunatamente casi come questo sono rari. Il comportamento del magistrato, però, piaccia o no, è conforme alla legge italiana.

Ora, Sallusti ha pubblicato nel febbraio del 2007 su Libero un articolo di un certo Dreyfus (glisso sulla citazione colta del caso che vide protagonista Émile Zola, giacché con quella situazione non ha nessuna analogia, eccetto il nome). In quell’articolo, l’autore diffamava il magistrato Cocilovo, chiedendone la pena di morte.

Il magistrato ha sporto querela, e, dopo tre gradi di giudizio, è arrivata la condanna. Sallusti, tra l’altro, è uno abituato a comportamenti non corretti e persino la Federazione Nazionale della Stampa Italiana (il sindacato dei giornalisti italiani) lo aveva già punito, perché aveva fatto lavorare a Il Giornale un certo Renato Farina, che era stato radiato dall’ordine dei giornalisti. Questi i fatti.

Ora, dopo la condanna, ineccepibile, tutti a stracciarsi le vesti. Tutti a difendere la libertà di espressione contro la magistratura, rea soltanto di aver applicato le leggi. Ma in Italia, si sa, l’applicazione delle leggi non piace e dopo il Craxismo ed il Berlusconismo, come se non fossero bastati 40 anni di DC, gli italiani, la maggior parte (ma non tutti), sembrano diventati proprio allergici all’aplicazione delle leggi, almeno di certe leggi. Infatti infrangono allegramente tutte quelle che gli fa comodo infrangere (per il tornaconto personale) ed invocano il rispetto di tutte quelle che fa comodo che gli altri rispettino (irrilevanti o contrarie agli interessi personali). Sotto quest’aspetto, le classi dirigenti (politici, giornalisti, imprenditori, professori) sono sempre la più grande espressione dei vizi nazionali ed allo stesso tempo il peggior esempio per la nazione.

Tutta la faccenda di Sallusti è gravissima. Una persona come Sallusti, abituato alla menzogna, alla deformazione della realtà, alla disinformazione dovrebbe andare in carcere già solo per quel che scrive. Ed ora pare proprio che ci debba andare. Sallusti è il direttore di un foglietto, organo di espressione della famiglia Berlusconi, schierato da anni in difesa di un personaggio indifendibile, è un giornale xenofobo e fascista, che fa da megafono ai piagnistei ed agli attacchi di Berlusconi e dei berluscones. In parole povere un giornale che con i suoi consueti attacchi alla magistratura ed all’opposizione ha constribuito ad invelenire il clima politico italiano e a sabotare la nascita della II Repubblica.

Il paradosso è che i giornalisti, sempre più schiavi del potere politico, si sono fatti eco del caso invocando la libertà di espressione. Ma chi ha buona memoria si ricorderà che proprio Berlusconi, i suoi accoliti ed i suoi servi sciocchi sono i meno credibili per parlare di libertà di esressione. I vari editti di Berlusconi contro giornalisti e comici italiani, il controllo ferreo sui giornalisti italiani (di Mediaset, della Rai o degli altri mezzi di comunicazione), i tentativi liberticidi preventivi contro Internet, etc. sono lì a dimostrarlo. L’ingerenza di Berlusconi sulla stampa fu proprio il motivo per cui Indro Montanelli (non certo un comunista, ma un membro del GUF, Gruppo Universitario Fascista) lasciò la direzione del Giornale nel 1994, cioè quando Berlusconi, già padrone della testata, decise di “scendere in campo”. Quando si dice un giornalista.

Quindi ecco il paradosso: i pennivendoli al servizio di Berlusconi, il più grande nemico della libertà di espressione, ora sono tutti schierati in difesa della libertà di espressione. Ma solo di quella di uno dei loro beninteso!

Tuttavia la faccenda mi pare molto più profonda ed ingegnosa, perché permette ancora una volta ai servi di Berlusconi di fare gli interessi del padrone a 360 gradi, e cioè godendo anche dell’appoggio dei suoi (presunti) nemici o avversari. Che è poi quello che Berlusconi ed i berluscones riescono a fare da almeno 20 anni: cioè farsi aiutare da tutti nel raggiungimento e nella protezione dei propri interessi particolari e soprattutto nella protezione degli interessi di Berlusconi.

Pare che l’autore dell’articolo non fosse Sallusti, ma il Renato Farina citato sopra. Chi è questo Farina? Un deputato del Popolo della Libertà (guarda caso il partito di Berlusconi!) ed ex giornalista radiato dall’Ordine per aver ammesso di aver collaborato con i Servizi Segreti italiani quando era vicedirettore di Libero. Ricordiamo che all’epoca Sallusti ne era il direttore. Guarda tu che persone si candidano nel PdL e guarda tu che persone Sallusti invita a scrivere su Libero e su Il Giornale. Le cose quindi si complicano, ma è tutto sempre più chiaro.

Sallusti è imputato per quella sua abitudine di attaccare i giudici. Viene condannato in via definitiva dopo tre gradi di giudizio. Sallusti, che potrebbe tramutare la pena in servizi sociali, non accetta: vuole proprio andare in galera, in quelle galere così orrende che persino Napolitano ha detto che, invece di migliorarle (e migliorare le condizioni di chi sta fuori, così forse la gente delinque di meno) bisogna far uscire i carcerati, come se non ci fossero già tanti impuniti in giro...soprattutto nel parlamento! Sallusti, nipote di un repubblichino fascista, uomo cattolico e leghista, vuole proprio andare in mezzo a quei delinquenti a quei drogati ed a quegli immigrati che il giustizialismo leghista (che vale solo per i ladri poveri, non per i ladri di milioni come Craxi o Berlusconi o Bossi e Fini) vorrebbe tutti dentro a pane e acqua.

Sallusti vuole proprio andare in prigione. Ma il colpevole, cioè l’autore dell’articolo diffamatorio è un altro, che oggi, guarda caso solo dopo la condanna definitiva, a reti unificate ha confessato. Allora i più grandi pennivendoli a servizio di Berlusconi lo insultano, per dare verosimiglianza alla faccenda ed una parvenza di offesa e di libertà: Mentana (“infame”), Feltri (“vigliacco”), etc. Ma badate bene: che cosa capita adesso?

1) Si è fatta una pubblicità mostruosa al caso, ripetendo per anni la questione dell’aborto, senza entrare nel merito, ma semplificandola al minimo “un magistrato ha costretto ad abortire una minorenne”, che detto così pare un’ovvia atrocità. Va da sé che il servizio reso ad un’opinione pubblica cattolica allontanatasi sempre più da Berlusconi è notevole. Soprattutto nel contesto delle sempre più calde effusioni antiabortiste di Giuliano Ferrara, altro pennivendolo al servizio di Re Silvio.

2) E qui entriamo nel vivo della questione: si è rafforzato il discorso dei berluscones contro la magistratura che: a) obbliga una minorenne ad abortire; b) riduce la libertà d’espressione, condannando un giornalista, come se i giornalisti fossero al di sopra della legge; c) incolpa un innocente, in quanto la confessione di Farina scagiona Sallusti (in realtà il direttore responsabile è, come dice la parola stessa, responsabile degli atti della sua redazione).

Ecco quindi il grande servizio che tutta la faccenda ha reso alla causa berlusconiana, con l’aiuto di tutti quelli (compreso l’Unità, giornale fondato da Antonio Gramsci, che si rivolta nelal tomba da decenni) che ora pregano per la libertà di Sallusti: screditare i magistrati per far passare la tesi della giustizia ingiusta e così permettere al pluriinquisito Silvio di sfuggire alle condanne che pesano sulla sua testa; come se non bastassero le leggi e leggine ad personam, il Lodo Alfano, le depenalizzazioni, i legittimi impedimenti, le scuse con le quali ha ottenuto dilazioni preziose per le prescrizioni, con la connivenza di procure compiacenti o corrotte e con la complicità di pennivendoli pubblici e privati (e non giornalisti), censurati o autocensurati, comprati e venduti, ed il favoreggiamento di un’opposizione impotente o succube.

Ecco il vero succo della storia: un nuovo capitolo nella lotta alla magistratura, una pantomima orchestrata ad arte, per il solo beneficio del padrone di tutto.

Che marcisca in galera Sallusti! Con la speranza che dopo di lui ci vada anche il suo padrone e tutti gli altri come lui. Ma state pur certi che in galera non ci andrà, perché, come sempre, in galera ci vanno solo i poveri.

martes, 14 de agosto de 2012

IL VERO VELENO DELL'ILVA

Il vero veleno dell’Ilva non è la polvere levata dal vento e sparsa su tutto: sulle case delle persone, sui panni bianchi di bucato, sulle piante, su quel che resta dei fiori, sulle pietre antiche, sui ricordi dei vecchi o sul futuro dei bambini. Il vero veleno dell’Ilva non va via con il soffio di queste parole tutte con la ‘v’ né con gli atti di un giudice. Il vero veleno dell’Ilva è molto più sottile delle polveri rosse e nere, degli acidi, dei fumi, e di tutte le molecole che può spargere tutt’intorno. È così sottile che non si vede, anche se i suoi effetti devastanti, più tremendi dei tumori che causa, sono sotto gli occhi di tutti.

Il vero veleno dell’Ilva è nella nostra testa. È l’ideologia del padrone che ci è entrata dentro, senza che ce ne accorgessimo, la sua mentalità che pensa per noi, che ci fa vedere il mondo con i suoi occhi e con i suoi interessi, che dirige le nostre azioni ed i nostri pensieri, che ci impedisce di immaginare delle alternative, è la lingua del padrone che parla per noi e che ci impedisce di immaginare o di dire cose alternative.

Il vero veleno dell’Ilva è nelle nostre menti, radicato nel senso comune, ha perso la sua eccezionalità per naturalizzarsi nella normalità: la banalità del male. Un male che sembra naturale, ovvio. Lo sfruttamento, l’umiliazione dei lavoratori, la violenza, la delinquenza, lo scempio della natura al di là di ogni logica che non sia il profitto immediato. Il vero veleno dell’Ilva è la rassegnazione che ci impedisce di pensare alternative al di là della stessa Ilva, è la nostra schiavitù accettata come naturale, come inevitabile, è la nostra dipendenza dal padrone che ci nutre, la nostra particolare sindrome di Stoccolma, che ci rende schiavi contenti del padrone che ci tiene ostaggi e che ci porta a difendere l'indifendibile.

Da questo veleno, il vero veleno dell’Ilva, nessun risanamento e nessun giudice potrà mai disintossicarci.


viernes, 3 de agosto de 2012

ASSASSINARE UN ASSASSINO

Qualche giorno fa sul mio Facebook ho usato una foto manipolata di Emilio Riva, padrone dell’ILVA e nuovo signorotto di Taranto, sotto tiro. Uso volutamente la parola padrone, perché mi pare molto più vicina alla realtà che la parola “amministratore delegato” o “presidente”, che sono solo degli eufemismi, cioè dei modi di descrivere la realtà meno duri di quanto la realtà non sia.
Quando ho pubblicato la foto qualcuno mi ha accusato di usare metodi e modi mafiosi o terroristi. Quindi cerco di spiegarmi. Per incominciare la foto è un simbolo: è un modo metaforico di definire la relazione che ho con questa persona che disprezzo profondamente, sebbene non più di altri padroni. Veniamo al resto. Innanzitutto difficilmente la mafia ha usato comunicazioni di questo tipo, almeno non per quanto ne sappia. L'attacco mafioso non è mai così aperto e sfrontato: è subdolo, strisciante, vile, è spesso anonimo, anche se si sa benissimo da chi viene.
  
L'attacco politico, invece, come questo mio, è aperto, esplicito, chiaro, inequivoco. Attenti però ad usare certe parole, perché la questione del terrorismo è molto più delicata di quanto non si creda.
  
La parola stessa "terrorismo" è solo uno dei modi che hanno certe persone (in generale quelle che controllano accesso, contenuti, e destinatari dei mezzi di comunicazione) di chiamare le cose che non gli piacciono o che non gli convengono; è uno dei modi di screditare certe lotte politiche e certi soggetti politici. Il terrorista, infatti, a seconda dei punti di vista, può essere un patriota o un partigiano. Per esempio noi chiamiamo "insorgenti" gli iracheni o gli afgani che combattono contro le forze alleate occidentali, ma gli iracheni e gli afgani li definiscono "patrioti". Gli israeliani chiamano "terroristi" i Palestinesi, che lottano in quella che per loro è una legittima guerra di liberazione contro gli occupanti israeliani, i nazi-fascisti chiamavano "terroristi" i partigiani italiani che lottavano contro l'occupazione tedesca-collaborazionista e che la maggior parte degli italiani (eccetto i tuttora numerosi fascisti) chiama “liberatori”, gli austriaci chiamavano "terroristi" quelli che noi italiani chiamiamo “patrioti”, come i carbonari che lottavano per l'unità d'Italia...e gli esempi sono infiniti.

Ma la questione è ancora più profonda, e qui voglio parlare della violenza, non più dei simboli. Se uccidere è un atto spregevole, deve esserlo sempre e per tutti e non solo per alcuni. Deve esserlo per la mafia che uccide i cittadini o i rappresentanti dello Stato, deve esserlo per lo Stato che uccide i cittadini, deve esserlo per i no-global, che però ancora non hanno ucciso nessuno, deve esserlo per i terroristi rossi, per i terroristi neri pagati dalla CIA, per gli anarchici, che hanno ucciso un re che uccideva i cittadini, per i poliziotti che uccidono i cittadini o i no-global o gli anarchici (e troppo pochi mafiosi), etc.

Se uccidere è un atto riprovevole che deve essere punito, deve esserlo per tutti. Il padrone ritratto nella foto è un assassino: un assassino dai guanti bianchi, un assassino subdolo, strisciante, banale, quasi invisibile ed anonimo. Da 17 anni, senza farsene accorgere, ogni giorno ammazza la gente per diventare più ricco, con la complicità dello Stato italiano, dei politici e delle mafie locali (che troppo spesso sono tutt’uno).

Non voglio fare un’apologia dell’assassinio politico e quanto meno della vendetta politica, ma mi interrogo sulla sproporzione tra l’impunità dell’assassino quando è un padrone, un poliziotto, o (addirittura) un mafioso, e la durezza con la quale si punisce l’assassino quando agisce per la libertà. E mi domando invece se chi ammazza un assassino non per vendetta, ma per mettere fine allo sterminio, non merita il perdono o un premio. Fecero proprio lo stesso gli ebrei dopo la 2ª Guerra Mondiale: misero le bombe ed uccisero persone per ottenere uno stato e vendicarsi dell’olocausto e nessuno li ha chiamati terroristi. Io no parlo di vendetta, parlo solo di mettere fine allo sterminio, lento, inesorabile, subdolo di un padrone che si arricchisce sulle spalle della gente.

Personalmente preferisco soluzioni aternative all'omicidio.

jueves, 5 de julio de 2012

INGIUSTIZIA È FATTA

Dopo 11 (undici!!!) anni la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d'Appello. Condannati i vertici della Polizia per i fatti della Scuola Diaz (durante le manifestazioni contro il G8 di Genova), dove i poliziotti entrarono e massacrarono di botte tutti quelli che trovarono. La scuola era il centro di aggregazione dei No-global. Non solo ci furono pestaggi, violenze e torture, non solo per qualche giorno vennero sospesi i diritti civili ed umani come in un regime sudamericano, tra le manifestazioni ed i fermi nelle caserme (vedi i fatti di Bolzaneto), ma ci fu un vero e proprio progetto per giustificare e scagionare i colpevoli di quei fatti inquietanti, finiti, tra l'altro, con la morte di un ragazzo. Per la cronaca, il carabiniere che lo ha ucciso è stato assolto in un altro processo. Furono fabbricate prove false, ci furono insabbiamenti, complicità, connivenze, omertà, che sboccarono nell'assoluzione in primo grado ed addirittura in molte promozioni. La verità sulla sospensione dei diritti civili ed umani nel periodo delle proteste contro il G8 nel luglio del 2001 è ancora lontana.

Non c'è nulla di cui essere soddisfatti. Si può essere soddisfatti di vedere 11 (!) anni dopo i dirigenti condannati, sapendo che nessuno farà neanche un giorno di carcere? Si può essere soddisfatti di vedere che l'allora minsitro dell'Interno (Scajola) non è stato neanche imputato? Si può essere soddisfatti di vedere che la maggior parte degli atti violenti sono rimasti impuniti? Si può essere soddisfatti di vedere che tra i numerosi funzionari di polizia solo una decina sono stati gli imputati e che i reati contestatigli sono andati prescritti?

Troppo tempo per giudicare, troppe falsità, troppa impunità.

Le persone che esercitano il monopolio della violenza nello stato moderno, cioè poliziotti e carabinieri, non possono né devono essere considerati cittadini qualunque. In effetti essi stessi non si considerano tali, come dinmostrano troppo spesso con la loro arroganza o con i loro abusi. Sono cittadini non al di sopra di ogni sospetto, come vorrebbero e come vorrebbero far credere, ma con una doppia responsabilità, quella di essere cittadini e di essere stati armati dai propri concittadini, con la responsabilità di essere dei servitori dei concittadini, non devono essere delle minacce per l'integrità dei cittadini (che tra l'altro, li pagano). Essi quindi devono rendere conto alla giustizia il doppio di un cittadino normale.

Non c'è davvero nulla di cui essere soddisfatti. Almeno fino a quando i poliziotti non capiranno il proprio ruolo nella società: servire e proteggere e non reprimere ed opprimere, per sfogare le proprie pulsioni più basse e difendere gli oscuri interessi dei padroni, chiunque essi siano.

jueves, 28 de junio de 2012

ORGOGLIO DI CHI?

Devo ammettere che Mario Blotelli non mi sta particolarmente simpatico. Anzi mi sta quasi un po’ antipatico. Sarà perché ha giocato e vinto molto nell’Inter ed a me piace la Juve! O perché ora gioca nel Manchestar City, la squadra degli sceicchi arabi che non rispettano i diritti umani e si comprano tutto con i soldi che escono da sotto la sabbia.

Però guardando la La foto sotto (homepage della Gazzetta dello Sport) mi domando chi è orgoglioso di Balotelli.



Mi domando se sono orgogliosi di lui anche i cretini leghisti, fascisti, razzisti o xenofobi che non vogliono i neri nelle loro città, ora che un nero gli ha permesso di gioire e di sentirsi tutti un po’ più italiani ed un po’ più orgogliosi di esserlo, in un’Italia che affonda ogni giorno di più.

Anche se Blotelli non mi sta particolarmente simpatico, una cosa mi piace di lui: che forse riuscirà davvero, almemo per un giorno -magari anche malgrado sé stesso- a far sentire gli italiani orgogliosi di un ragazzo nero. Forse. Questo è il suo più grande goal e la nostra più grande vittoria, questa sí, di tutti gli italiani.

jueves, 3 de mayo de 2012

UNA PAPERA MILIONARIA

Quanto ha guadagnato ieri Gigi Buffon, noto malato (a detta degli "Zingari") di calcio-scommesse?

È facile fare due conti, considerando le quote ufficiali dei siti -legali- di scommesse. Per quanto riguarda la scommessa sul risultato finale, il pareggio del LECCE a Torino, in casa della JUVE, era dato a 6.5. Ciò significa che per ogni euro scommesso se ne vincevano 6.5.

Però, e qui viene il bello, per la scommessa chiamata "1º tempo/finale", basata cioè sull'indovinare il risultato della gara alla fine del primo tempo e quello finale, il pareggio del Lecce dopo vantaggio della Juve era dato a 20. Cioè, per ogni euro scommesso, se ne vincevano 20.

Siccome a Buffon i soldi non mancano, con una scommessa di "soli" 20.000 euro, che per lui sono bruscolini, ne avrebbe vinti 400.000, che sono già una bella sommetta, anche per lui che è un milionario!!!

Da notare che il gol lo ha chiaramente causato lui, e non ha fatto nulla per rimediare l'errore, lo ha causato nella fase finale della partita, quando ormai la Juve non rischiava più troppo, visto che conservava il vantaggio sul Milan e che gli restano ormai solo due impegni (relativamente) facili...

Data la caratura morale del personaggio, ma soprattutto, data l'avarizia e l'egoismo imperanti, data la somma in gioco, e data la mancanza di valori (nel calcio, nello sport professionale, ma non solo)...ditemi...quanto ha guadagnato ieri Buffon? O davvero è stato solo un semplice incapace?

miércoles, 28 de marzo de 2012

IPOTESI SULL'ORIGINE DEL COGNOME SCRETI


www.francescoscreti.eu


Sicuramente qualcuno si è già domandato l’origine del nostro cognome e della nostra famiglia. Le due cose sono ben diverse, com’è logico, ma sono pur sempre legate. L’origine del cognome si riferisce all’origine etimologica della parola “screti”, oggetto di studio della linguistica, la scienza che studia il linguaggio umano. In realtà è oggetto di studio di una sua branca chiamata onomastica, che studia i nomi di persona, di città, etc. L’origine della famiglia, invece, ha a che fare con la genealogia. Tuttavia, siccome i cognomi sono delle parole un po’ speciali, che vivono solo insieme alle persone che li portano, in certo modo studiare l’origine della parola screti implica fare delle ricerche genealogiche sulle persone che portano o che portavano quel cognome.

Nelle prossime righe cercherò di esporre un’ipotesi circa l’origine del cognome Screti. Lo farò tenendo conto di tre discipline: la storia, la sociologia e la linguistica. Si badi bene, però, che non si tratta di uno studio scientifico, giacché i suoi risultati non possono essere sottoposti né a verificazione né a falsificazione. Si tratta solo di un’ipotesi, che come tale soffre di numerosi limiti e che necessita di ulteriori approfondimenti. Forse però questa prima ipotesi stimolerà una ricerca più ampia, magari con l’aiuto degli altri Screti. Tutti insieme riusciamo forse a capirci di più sull’origine del nostro cognome.

Innanzitutto bisogna rispondere alla domanda “che cosa è un cognome”. In generale si può dire che è una parola che definisce meglio il nome proprio di una persona, dato che un nome generalmente è una parola più diffusa di un cognome. Il cognome indica la famiglia cui appartiene una persona che ha già un nome proprio. Si tratta di una sorta di doppio nome usato proprio per ridurre l’ambiguità, perché, mettiamo, di Giulio ce ne sono tanti, e di Screti ce ne sono tanti, ma di “Giulio+Screti” ce n’è già molti di meno. Oggi giorno il cognome ha un’importante funzione amministrativa: ridurre l’ambiguità ed identificare in modo univoco una persona, cosa fondamentale nelle società burocratiche odierne. Ma in origine il cognome era una specie di apposizione, di aggettivo, di predicativo che si aggiungeva al nome proprio di qualcuno.

In Italia i cognomi hanno almeno 3 origini, che elencherò sotto. Tra gli esempi, che sarebbero innumerevoli, cito solo quelli che sono più evidenti e chiari, senza tener conto delle variazioni possibili, come per esempio Ferraro > Ferrari, Ferrarini, Ferrarotti, Ferrarelli, etc. I cognomi nascono:

   1) dai nomi propri di persona (per esempio dei genitori): Di Francesco, Di Martino, Di Maria, etc.

   2) dai luoghi d’origine della persona (o dei genitori): Milani, Di Taranto, Da Vinci, etc. ma anche Dal Monte, Bosco, etc.

   3) dai soprannomi: tra questi dobbiamo distinguere almeno quelli derivati da:

           i. caratteristiche fisiche: Capone, Caputo, Capogrosso, Nasole, etc.

          ii. professione: Maniscalco, Balestrieri, Ferraro, Spadaro, Pescatore, etc. (tra questi una categoria particolare si riferisce all’oggetto che sta per la professione: Spada, Ferri, Pane, Lo pane, etc.).

Veniamo ora al cognome Screti. Visto che ho limitato lo studio all’Italia, diamo un’occhiata alla distribuzione geografica del cognome Screti in Italia, riportata in Fig. 1. D’altro canto è ovvio che gli Screti residenti all’estero sono sicuramente originari di qualche punto della penisola italiana o discendenti di persone originarie di qualche punto della penisola italiana.



Fig. 1. Localizzazione del cognome Screti in Italia.

Innanzitutto mi piacerebbe far notare che si tratta di un cognome poco frequente, “raro”. Paragonato ad altri cognomi, per esempio, la forma scr– è già poco frequente. Anche tra le parole della lingua italiana quelle che iniziano per scre– sono meno di altre. Per dare un’idea della rarità del cognome Screti, basta comparare la Fig. 1 con la Fig. 2, dove è rappresentato il cognome più frequente in Italia, cioè Rossi.



Fig. 2. Localizzazione del cognome Rossi in Italia.

Se osserviamo nuovamente la distribuzione del cognome Screti in Italia, con una mappa diversa, suddivisa in province, come quella in Fig. 3, potremo notare che il cognome Screti è chiaramente localizzato in Puglia, ed in particolar modo nelle province di Taranto e Brindisi.




Fig. 3. Localizzazione del cognome Screti nelle province italiane.

Se osserviamo più attentamente, possiamo notare che il cognome è più frequente nella zona centrale del Salento, come dimostra la Fig. 4. In particolare, il cognome Screti è localizzato principalmente nei comuni che si trovano lungo una linea curva immaginaria che unisce Brindisi con Pulsano (TA).

 Fig. 4. Localizzazione del cognome Screti in Puglia.

Credo che gli Screti che si trovano fuori da questa zona della Puglia, concentrati soprattutto nel Lazio e nel Settentrione (vedi Fig. 1 e 3), vi siano arrivati in un secondo momento provenienti dal Sud. La direzione finora normale dei flussi migratori interni, cioè da Sud a Nord, dovrebbe giustificare quest’ipotesi.
Tuttavia questo non getta ancora alcuna luce sull’origine del cognome Screti. Personalmente ho fatto una congettura sulla base di alcune osservazioni empiriche, sulle ricerche genealogiche condotte da alcuni miei familiari e sulla triangolazione con alcuni avvenimenti storici, nonché sull’osservazione di alcuni fenomeni linguistici.

Ovviamente l’origine del cognome Screti è legata all’origine della parola “screti”, a sua volta legata alle vicende delle persone che portano o portavano quel cognome. Fra le tante possibili credo di poter individuare 3 possibilità principali, che però non escludono l’esistenza di alternative:


  1) un’origine latina tipo SECRETI, come sostantivo plurale derivato da SECRETUM, ‘segreto’. La deformazione della parola, con perdita di una vocale, cioè della prima –e, è assolutamente normale.

   2) un’origine greca come per esempio SKRITI, da confrontare, per esempio, al cognome greco dello scrittore americano di origine greca Paul Kroskrity. Non bisogna meravigliarsi della scrittura <skrity>: questa parola suona /skriti/ mentre il nostro cognome <screti> suona /skreti/, con la <e> chiusa o /skrɛti/, con la <e> aperta. Nonostante le differenze grafiche le parole suonano quasi uguale: infatti l’oscillazione i/e è normale, soprattutto in greco.

   3) un’origine balcanica, intendendo con questo termine lo spazio che oggi corrisponde grosso modo ad Albania, Macedonia, Montenegro, Croazia, Serbia, Bosnia, Slovenia.

In realtà, data la labilità dei confini geografici e la loro mobilità, almeno all’epoca in cui credo di poter situare la datazione del cognome Screti in Puglia, le due piste, quella greca e quella balcanica, risultano strettamente legate. Ora spiegherò perché mi pare plausibile la pista balcanica. La definirò così, visto che all’epoca in cui credo di poter situare i fatti, Grecia, Albania, Macedonia, Serbia, Erzegovina, Montenegro, Croazia, Bosnia e Slovenia erano un tutt’uno.

Qual è l’epoca cui mi riferisco e perché. Credo che gli Screti siano “arrivati” in Italia in un periodo compreso tra il XVII ed il XVIII secolo. Un nostro parente ha effettuato una ricerca nei registri del comune di Pulsano, la traccia dei nostri avi, provenienti da Sava, un paese della provincia di Taranto, finirebbe intorno al 1780. Questo non prova assolutamente nulla, ma mi pare innegabile la coincidenza tra la frequenza del cognome Screti in una certa zona della Puglia e l’esistenza in quella stessa zona di enclavi albanesi, dove si parla arbëreschë (soprattutto per esempio a San Marzano di San Giuseppe), come si può notare comparando la Fig. 4 con la Fig. 5, qui sotto, che rappresenta le zone di lingua albanese in Italia.

 Fig. 5. Enclavi albanesi in Italia


Se si osserva la cartina, si vedrà che la coincidenza è notevole. Secondo me non può essere casuale. Un mio amico albanese una volta mi ha fatto notare che una parola che suona /ʃkrɛt/, ma che non saprei scrivere in albanese, esiste in albanese e che è anche un cognome albanese. Sfortunatamente non posso verificare queste affermazioni, ma hanno sostenuto la mia intuizione, nata dall’osservazione che il cognome Screti suona strano in italiano. Chi ha dovuto dire il proprio cognome ad un impiegato lo avrà potuto notare facilmente. Credo pertanto che il cognome Screti abbia a che fare con lo spostamento di persone dai Balcani verso la Puglia, sotto la spinta delle armate turche che, nei secoli XVI-XVII, regnavano nei Balcani. Nel 1683 le truppe turche in un offensiva contro gli Asburgo assediarono addirittura Vienna. Durante la loro occupazione dei Balcani o nelle loro offensive dalla Turchia all’odierna Austria possiamo immaginare che spinsero o costrinsero a muoversi un numero incalcolabile di persone, che fuggivano dalla guerra, dalla fame, dalle occupazioni, dalle violenze, dalle conversioni forzate, etc. Qui sotto (Fig. 6) presento una cartina con l’impero Ottomano.



 Fig. 6. L’impero ottomano.

Dato che l’esercito turco risaliva dal sud verso il nord, la via di fuga più comoda era attraversare il mare Adriatico, un mare piccolo, poco profondo, relativamente calmo, quasi un lago. Possiamo quindi immaginare che dai Balcani molte persone emigravano sulle coste orientali dell’Italia e specialmente in Puglia. Non è da escludere, quindi, che una famiglia balcanica (mi riesce difficile dire albanese, e sotto spiegherò perché) sia arrivata in Puglia e vi si sia insediata, tra il XVII ed il XVIII secolo. Non è possibile, alla luce delle mie competenze e conoscenze stabilire date più precise. Tuttavia queste date mi pare che posano coincidere con il periodo compreso tra la data dell’assedio di Vienna da parte degli Ottomani (1683) e la data in cui si perde la traccia degli Screti nei registri (1780).

Dico che mi riesce difficile dire albanese per due ragioni, la prima, ovvia, è che l’Albania come la conosciamo noi oggi, all’epoca dei fatti (XVII-XVIII secolo) non esisteva ancora. La seconda, più complicata, è che forse più che di persone che parlavano albanese, si trattava di persone che parlavano croato, serbo o sloveno. Almeno stando a quanto ho potuto ricostruire con le mie elementari conoscenze di slavo. Ma procediamo con calma. 

Se consideriamo l’esistenza di un’enclave albanese e neogreca in Puglia, pensare ad un’origine greca o albanese non è affatto strano. Da questo punto di vista, la localizzazione del cognome nell’area dell’enclave albanese, piuttosto che in quella greca, che si trova più sotto nel Salento, tutta compresa nella provincia di Lecce, spingerebbe a propendere per l’ipotesi albanese. Ma qui sorge un problema. Perché sebbene dal punto di vista geografico, la coincidenza tra la mappa della frequenza del cognome (Fig. 4) e quella dell’enclave albanese in Puglia (Fig. 5) è notevole, la mia ignoranza dell’albanese di Albania (schquipëtarë) e dell’albanese d’Italia (arbëreschë) mi impedisce di verificarla. La parola da verificare, in realtà, non è <screti>, o non solo essa, ma almeno, insieme ad essa, le forme <scret>, <scr>, <scrt>, <scriti>, <scrite>, <skret>, <skreti>, <skrete>, <skriti> e tutte le possibili varianti di una parola da pronunciare almeno /skreti/ o /skrɛti/, /skriti/, /skret/ o /ʃkret/. Tutte queste varianti grafiche e fonetiche potrebbero tutte essere all’origine del cognome Screti. Si potrebbe trattare quindi di una parola straniera, diciamo balcanica, che sarebbe stata poi italianizzata, per esempio con la sostituzione di /ʃkr/, che in italiano non esiste, con /skr/ e con l’aggiunta della <i> finale, per indicare la pluralità della famiglia, una caratteristica tipica dei cognomi italiani, come in Rossi < Rosso, probabilmente una persona con i capelli rossi o rossa in faccia, etc.

Il problema vero, però, sempre legato alla mia ignoranza delle lingue slave e dell’albanese, è il seguente: non so se la parola <screti>, che può poi aver dato origine al cognome Screti, cioè, poniamo, <skre>, <skret>, <skrit>, <skrt>, <skriti>, etc., venga dall’albanese, o da altre lingue slave. L’unica cosa che posso affermare con una certa sicurezza è che in alcune lingue slave parlate nei Balcani, come il croato, il serbo e lo sloveno, esiste la parola <skriti>, che vuol dire ‘nascondere’. Riassumo nello schema sotto.

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lingue slave

albanese

croato

serbo

sloveno

albanese

skriti

skriti

skriti

-

Vale la pena di ricordare che croato, serbo e sloveno sono lingue slave imparentate strettamente, mentre l’albanese non è una lingua slava, ma una lingua isolata.

D’altro canto quando parliamo di Albania, Serbia, Croazia o Slovenia, non dobbiamo pensare agli stati attuali. Attualmente la Serbia pare piuttosto lontana dalla Puglia, ma se si osserva una cartina del 1350, come quella riportata in Fig. 7, si noterà che Serbia, Albania, Macedonia e Grecia erano praticamente la stessa cosa, ed erano abbastanza vicine alle coste pugliesi. Inoltre prima che esistessero le frontiere e le nazioni o gli Stati, le popolazioni erano molto più mescolate fra loro. Un’altra cosa, le lingue che oggi distinguiamo e che chiamiamo serbo e croato, in realtà sono la stessa lingua, e lo sono state sino a prima della guerra in Jugoslavia, cioè sino al 1991. Se si osservano le due cartine riportate sotto (Fig. 7), che rappresentano la Serbia ora (a sinistra) e prima (a destra), si comprenderà quello che intendo.



Fig. 7. La Serbia ora, in arancione (in marrone il Kosovo), e nel 1350, in rosso.

Questo significa che in effetti, è probabile che le persone venute in Puglia a cavallo tra il XVII ed il XVIII secolo e che poi sarebbero diventati gli Screti, fossero balcanici in senso lato, piuttosto che albanesi in senso stretto, che quindi non parlavano albanese, ma una lingua slava meridionale, come il serbo/croato o lo sloveno. Tuttavia possiamo pensare che si trattasse più probabilmente del serbo/croato, giacché persone parlanti sloveno risulterebbero geograficamente più distanti dalla Puglia. Questa conclusione può sembrare in contraddizione con il fatto che la maggiore diffusione del cognome Screti si ha in una zona albanese in Puglia. Ma in realtà non si può escludere che tra gli i balcanici venuti in Puglia tra la maggioranza di lingua albanese ci fosse anche una minoranza di lingua serbo/croata. La teoria generale, quindi, mi pare che tenga, anche se ovviamente sono necessari altri studi. Per esempio bisognerebbe verificare se in albanese (schquipëtarë) o in abanese antico o in arbëreschë esiste una variante della parola <scret>, <skret>, <skrit>, etc. una cosa che non ho potuto appurare.

In mancanza di altri dati, azzardo l’ipotesi che il nostro cognome è pugliese, ma di origine balcanica (o albanese o serbo/croata); che l’arrivo in Italia dei nostri avi deve essere avvenuto in un momento dell’era moderna, diciamo tra il XVII ed il XVIII secolo, per sfuggire alla fame ed alle guerre, alla ricerca di condizioni di vita migliori; che la parola screti o una qualche sua variante grafica o fonica forse significa ‘nascosto’ (sempre che accettiamo l’origine serbo/croata); che questa parola era magari un modo che i nostri avi fuggiti da una delle tante guerre dei Balcani avevano per definire se stessi, quando le persone residenti in Puglia gli domandavano chi fossero, che cosa fossero, da dove venissero, a chi appartenessero. Forse in una lingua incomprensibile essi rispondevano a domande incomprensibili e rispondevano che erano “nascosti”, cioè rifugiati, dato che fuggivano dalle guerre e dalla fame, che è poi quello che fanno tutti gli emigranti o gli immigranti.


miércoles, 21 de marzo de 2012

I BAMBINI SONO TUTTI UGUALI

Foto di Clara Vannucci
I bambini sono tutti uguali. Ma alcuni sono più uguali di altri. Ed il dolore, anche se dovrebbe essere tutto uguale, è invece diverso. Ancora più diverso è il profitto che si riesce a trarre dal dolore (reale o immaginario). Alcuni riescono ad ottenerne persino degli stati, altri, invece, nulla, solo altro dolore, che a sua volta servirà a causarne ancora altro anche a chi non ne aveva nessuna colpa. Forse.

L'incidente di Toulouse, dove Mohammad Merah, un meccanico francese (di origine magrebina) di 24 anni, il 19 marzo scorso ha trucidato 4 innocenti -un professore e tre bambini tutti ebrei ortodossi- deve far riflettere. Erano innocenti almeno nel senso che non hanno partecipato direttamente in azioni violente contro altri essere umani. Probabilmente sono o sarebbero diventati complici. O forse avrebbero aiutato la Palestina a diventare uno stato e magari pure democratico e non teocratico, se avessero scelto la via del progresso e del cambio nonostante la propaganda degli ebrei fascisti ortodossi. Questo è il dramma di uccidere dei bambini, perché si uccide un futuro che avrebbe potuto essere fantastico. 

È difficile in situazioni come queste riuscire a dire qualcosa di diverso o di nuovo dalla solita facile melassa frutto del pensiero unico. Ora tutti si disperano, piangono e gridano, ed è facile lasciarsi trasportare dalle emozioni, senza pensare. Ma questo evento tragico deve far riflettere per esempio in primo luogo sull'innocenza. I bambini erano senza dubbio innocenti, ma quel professore, o le famiglie di quei bambini forse no. Forse sovvenzionavano la lotta ebrea, il sionismo, fomentavano l'odio razziale, perpetuavano ideologie esclusive e totalitarie (come quella ebrea ortodossa o sionista), perpetuavano l'ingiustiza sciale ed il razzismo, o forse, con la loro indifferenza, erano semplicemente complici del massacro, ma possiamo chiamarlo genocido, che Israele perpetra da anni ai danni dei palestinesi.

Questo evento deve far riflettere gli ebrei innanzitutto e la comunità internazionale -complice e spesso succube dei primi- sullo scempio che sta acadendo da 50 anni in Palestina ed in Israele.

Non c'è certamente giustificazione alcuna per il gesto di questo folle, che tra l'altro, non  fa nessun favore alla comunità palestinese ed alla sua causa. Tutt'altro, giacché favorisce lo schema mentale del vittimismo atavico che gli ebrei così abilmente sfruttano da decenni. Sempre vittime, anche ora che sono i carnefici. Ed infatti Benjamin Netanyahu, primo ministro di Israele, ha già gridato al massacro, all'antisemitismo, al fondamentalismo. Forse a Netanjahu sfugge che in tutto il mondo si fa la guerra contro il fondamentalismo islamico, ma nessuno si preoccupa per il fondamentalismo ebreo ortodosso o per quello cattolico, che sono ugualmente pericolosi, giacché in loro nome si ammazza da secoli. 

Questa tragedia deve anche far riflettere l'Europa su come sta gestendo l'integrazione di razze, religioni e culture diverse e spesso contrapposte, su quali opportunità offre, a chi, come ed a che prezzo, se l'integrazione è possibile (io credo di sì) e come raggiungerla, a quali condizioni, al di là degli slogan (di sinistra o di destra) e delle emozioni o dei sentimenti facili.

Ma soprattutto la stupida e tragica azione di Mohammed Merah deve far riflettere perché in certo qual modo è una risposta che nasce dalla frustrazione e dall'impotenza di chi vede morire i bambini nell'indifferenza generale. Quelli palestinesi, che, almeno in teoria, sono uguali a quelli Ebrei. E nel vedere/sentire/leggere di quei morti qualcuno si è rallegrato, ha pensato che poteva essere un modo per scuotere le coscienze sull'ingiustificabile condotta d'Israele, un modo per pareggiare i conti, per fare giustizia. Non è certo così che si fa la giustizia, ma senza la giustizia non c'è la pace. Ed Israele e la comunità internazionale dovrebbero pensarci, tra le lacrime facili, false, comode e partigiane, che si versano solo per alcuni bambini e per altri no.

domingo, 26 de febrero de 2012

DELINQUENTE A PIEDE LIBERO

Volevo scrivere qualcosa sulla straordinaria assoluzione di quel delinquente di Silvio Brlusconi. Ma davvero non ho parole. Troppo sdegno, troppo dolore, troppa rabbia. L’ha fatta franca un’altra volta, grazie a 10 anni di leggi ad personam, di sotterfugi, dieci anni spesi a non governare l’Italia, governando solo nel suo interesse, per eludere i processi, per uscire indenne da quelli inevitabili, per salvare il suo impero fondato sulla delinquenza. Qualcosa che nessun altro paese democratico avrebbe tollerato.
Voglio solo ricordare che Berlusconi NON è innocente: effettivamente ha commesso il fatto. È solo scaduto il termine legale per condannarlo.