martes, 14 de agosto de 2012

IL VERO VELENO DELL'ILVA

Il vero veleno dell’Ilva non è la polvere levata dal vento e sparsa su tutto: sulle case delle persone, sui panni bianchi di bucato, sulle piante, su quel che resta dei fiori, sulle pietre antiche, sui ricordi dei vecchi o sul futuro dei bambini. Il vero veleno dell’Ilva non va via con il soffio di queste parole tutte con la ‘v’ né con gli atti di un giudice. Il vero veleno dell’Ilva è molto più sottile delle polveri rosse e nere, degli acidi, dei fumi, e di tutte le molecole che può spargere tutt’intorno. È così sottile che non si vede, anche se i suoi effetti devastanti, più tremendi dei tumori che causa, sono sotto gli occhi di tutti.

Il vero veleno dell’Ilva è nella nostra testa. È l’ideologia del padrone che ci è entrata dentro, senza che ce ne accorgessimo, la sua mentalità che pensa per noi, che ci fa vedere il mondo con i suoi occhi e con i suoi interessi, che dirige le nostre azioni ed i nostri pensieri, che ci impedisce di immaginare delle alternative, è la lingua del padrone che parla per noi e che ci impedisce di immaginare o di dire cose alternative.

Il vero veleno dell’Ilva è nelle nostre menti, radicato nel senso comune, ha perso la sua eccezionalità per naturalizzarsi nella normalità: la banalità del male. Un male che sembra naturale, ovvio. Lo sfruttamento, l’umiliazione dei lavoratori, la violenza, la delinquenza, lo scempio della natura al di là di ogni logica che non sia il profitto immediato. Il vero veleno dell’Ilva è la rassegnazione che ci impedisce di pensare alternative al di là della stessa Ilva, è la nostra schiavitù accettata come naturale, come inevitabile, è la nostra dipendenza dal padrone che ci nutre, la nostra particolare sindrome di Stoccolma, che ci rende schiavi contenti del padrone che ci tiene ostaggi e che ci porta a difendere l'indifendibile.

Da questo veleno, il vero veleno dell’Ilva, nessun risanamento e nessun giudice potrà mai disintossicarci.


viernes, 3 de agosto de 2012

ASSASSINARE UN ASSASSINO

Qualche giorno fa sul mio Facebook ho usato una foto manipolata di Emilio Riva, padrone dell’ILVA e nuovo signorotto di Taranto, sotto tiro. Uso volutamente la parola padrone, perché mi pare molto più vicina alla realtà che la parola “amministratore delegato” o “presidente”, che sono solo degli eufemismi, cioè dei modi di descrivere la realtà meno duri di quanto la realtà non sia.
Quando ho pubblicato la foto qualcuno mi ha accusato di usare metodi e modi mafiosi o terroristi. Quindi cerco di spiegarmi. Per incominciare la foto è un simbolo: è un modo metaforico di definire la relazione che ho con questa persona che disprezzo profondamente, sebbene non più di altri padroni. Veniamo al resto. Innanzitutto difficilmente la mafia ha usato comunicazioni di questo tipo, almeno non per quanto ne sappia. L'attacco mafioso non è mai così aperto e sfrontato: è subdolo, strisciante, vile, è spesso anonimo, anche se si sa benissimo da chi viene.
  
L'attacco politico, invece, come questo mio, è aperto, esplicito, chiaro, inequivoco. Attenti però ad usare certe parole, perché la questione del terrorismo è molto più delicata di quanto non si creda.
  
La parola stessa "terrorismo" è solo uno dei modi che hanno certe persone (in generale quelle che controllano accesso, contenuti, e destinatari dei mezzi di comunicazione) di chiamare le cose che non gli piacciono o che non gli convengono; è uno dei modi di screditare certe lotte politiche e certi soggetti politici. Il terrorista, infatti, a seconda dei punti di vista, può essere un patriota o un partigiano. Per esempio noi chiamiamo "insorgenti" gli iracheni o gli afgani che combattono contro le forze alleate occidentali, ma gli iracheni e gli afgani li definiscono "patrioti". Gli israeliani chiamano "terroristi" i Palestinesi, che lottano in quella che per loro è una legittima guerra di liberazione contro gli occupanti israeliani, i nazi-fascisti chiamavano "terroristi" i partigiani italiani che lottavano contro l'occupazione tedesca-collaborazionista e che la maggior parte degli italiani (eccetto i tuttora numerosi fascisti) chiama “liberatori”, gli austriaci chiamavano "terroristi" quelli che noi italiani chiamiamo “patrioti”, come i carbonari che lottavano per l'unità d'Italia...e gli esempi sono infiniti.

Ma la questione è ancora più profonda, e qui voglio parlare della violenza, non più dei simboli. Se uccidere è un atto spregevole, deve esserlo sempre e per tutti e non solo per alcuni. Deve esserlo per la mafia che uccide i cittadini o i rappresentanti dello Stato, deve esserlo per lo Stato che uccide i cittadini, deve esserlo per i no-global, che però ancora non hanno ucciso nessuno, deve esserlo per i terroristi rossi, per i terroristi neri pagati dalla CIA, per gli anarchici, che hanno ucciso un re che uccideva i cittadini, per i poliziotti che uccidono i cittadini o i no-global o gli anarchici (e troppo pochi mafiosi), etc.

Se uccidere è un atto riprovevole che deve essere punito, deve esserlo per tutti. Il padrone ritratto nella foto è un assassino: un assassino dai guanti bianchi, un assassino subdolo, strisciante, banale, quasi invisibile ed anonimo. Da 17 anni, senza farsene accorgere, ogni giorno ammazza la gente per diventare più ricco, con la complicità dello Stato italiano, dei politici e delle mafie locali (che troppo spesso sono tutt’uno).

Non voglio fare un’apologia dell’assassinio politico e quanto meno della vendetta politica, ma mi interrogo sulla sproporzione tra l’impunità dell’assassino quando è un padrone, un poliziotto, o (addirittura) un mafioso, e la durezza con la quale si punisce l’assassino quando agisce per la libertà. E mi domando invece se chi ammazza un assassino non per vendetta, ma per mettere fine allo sterminio, non merita il perdono o un premio. Fecero proprio lo stesso gli ebrei dopo la 2ª Guerra Mondiale: misero le bombe ed uccisero persone per ottenere uno stato e vendicarsi dell’olocausto e nessuno li ha chiamati terroristi. Io no parlo di vendetta, parlo solo di mettere fine allo sterminio, lento, inesorabile, subdolo di un padrone che si arricchisce sulle spalle della gente.

Personalmente preferisco soluzioni aternative all'omicidio.